terça-feira, 6 de novembro de 2012

Card. Darío Castrillón Hoyos Sull’obbligo dell’abito ecclesiastico

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Card. Darío Castrillón Hoyos: «Sull’obbligo dell’abito ecclesiastico»: il segno dell’abito sacerdotale, proprio perché segno di appartenenza totale a Cristo e alla Chiesa, non è facoltativo ma risponde all’esigenza intrinseca del sacramento dell’ordine di testimonianza pubblica della nuova identità conferita al ministro ordinato. È, quindi, allo stesso tempo un diritto e un dovere: di rendere evidente ciò che si è diventati, manifestandolo pubblicamente agli altri anche nel modo di vestirsi, che non può essere arbitrario ma deve corrispondere alla nuova identità, di cui ci si è lasciati liberamente rivestire da Cristo.



Card. Darío Castrillón Hoyos
Sull’obbligo dell’abito ecclesiastico
*



La peculiarità dell’abito sacerdotale viene efficacemente descritta nel n. 66 del “Direttorio per la vita e il ministero dei presbiteri”, intitolato: “Obbligo dell’abito ecclesiastico”; vale la pena perciò citarlo per intero corredato anche delle sue note:
«In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero – uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri – sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l’abito che porta, come segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico [1]. Il presbitero dev’essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire, in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo [2], la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa.
Per questa ragione, il chierico deve portare “un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza episcopale e secondo le legittime consuetudini locali” [
3]. Ciò significa che tale abito, quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero. La foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi, sempre in armonia con le disposizioni del diritto universale.
Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità [
4].
Fatte salve situazioni del tutto eccezionali, il non uso dell’abito ecclesiastico da parte del chierico può manifestare un debole senso della propria identità di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa. [
5]»
Come si può ben vedere, in questo numero del Direttorio sono state condensate, in poche righe, le direttive della Chiesa riguardo all’obbligo dell’abito sacerdotale, segno della propria consacrazione sacerdotale al servizio di Cristo e della sua Chiesa.
Noi tutti sappiamo quanto i segni siano, da sempre, elementi significativi nella vita e nella cultura dell’uomo, di ogni latitudine e longitudine, essendo essi parte della stessa convivenza umana; non è Dio ad aver bisogno di segni per se stesso, ma è l’uomo che ne ha reale necessità.
I segni, infatti, sono parte integrante dell’umanità e ad essa appartengono. Fin da fanciulli abbiamo pure imparato ad esprimerci, ad interpretare la realtà ed a porci dinanzi ad essa attraverso i segni.
Ora, il segno dell’abito sacerdotale, proprio perché segno di appartenenza totale a Cristo e alla Chiesa, non è facoltativo ma risponde all’esigenza intrinseca del sacramento dell’ordine di testimonianza pubblica della nuova identità conferita al ministro ordinato. È, quindi, allo stesso tempo un diritto e un dovere: di rendere evidente ciò che si è diventati, manifestandolo pubblicamente agli altri anche nel modo di vestirsi, che non può essere arbitrario ma deve corrispondere alla nuova identità, di cui ci si è lasciati liberamente rivestire da Cristo.
L’abito sacerdotale, come ribadisce anche il Direttorio, è dunque un segno irrinunciabile per chi ha scelto di essere nel mondo sacerdote di Cristo, cioè suo rappresentante sacramentale.
Su questo argomento il Santo Padre Giovanni Paolo II, indirizzando una Sua lettera all’allora Vicario di Roma, il Cardinale Poletti, l’8 settembre 1982, evidenziava chiaramente lo scopo evangelizzatore dell’abito ecclesiastico:
“Inviati da Cristo per l’annuncio del Vangelo, abbiamo un messaggio da trasmettere, che si esprime sia con le parole, sia anche con i segni esterni, soprattutto nel mondo odierno che si mostra così sensibile al linguaggio delle immagini. L’abito, pertanto, giova ai fini dellíevangelizzazione ed induce a riflettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell’esistenza dell’uomo”.
Quale presbitero che si presenta visibilmente come tale, non ha già fatto l’esperienza di dare testimonianza proprio per il fatto di essere riconosciuto dall’abito che indossa, sul treno o sulla strada, interpellato magari da una persona che non avrebbe altrimenti mai osato di suonare alla porta di una canonica per chiedere di parlare con un sacerdote? Oggi, nel tempo della Nuova Evangelizzazione, il mondo ha bisogno che i sacerdoti ascoltino l’appello del Santo Padre “Duc in altum”,facendosi vedere dagli uomini con l’abito che li contraddistingue come tali, dappertutto, per rispondere così ai loro bisogni spirituali.
Un’altra ragione che spiega la rilevanza dell’abito ecclesiastico è quella che il sacerdote è testimone di Cristo attraverso il suo comportamento evangelico, mediante ciò la sua carità pastorale che attira gli uomini al Signore. Anche se tale dimensione è innanzitutto interiore, bisogna diffidare di trascurare mezzi esteriori che ci aiutano a vivere con fedeltà questo cammino spirituale. Il nostro essere sacerdoti ci fa manifestare agli uomini come “uomini di Dio”; l’abito ecclesiastico ci obbliga, quindi, a comportarci di conseguenza e non già come se non lo fossimo. Pertanto, esso ci invita a sviluppare sempre di più la coerenza tra la nostra consacrazione sacerdotale interiore ed il nostro agire esterno, davanti agli uomini. Il sacerdote si presenta così come un uomo vero, quindi libero.Perciò la fedeltà all’abito ecclesiastico è, se ben capita, fedeltà che rimanda al Vangelo ed è, innanzitutto, per tale ragione che la Chiesa, custode del Vangelo, chiede ai suoi ministri di essere visibilmente riconosciuti come tali in mezzo agli altri uomini.
Auspico di cuore che ogni studio, approfondimento o insegnamento qualificato su questa delicata materia, sia sempre animato dall’autentico spirito cristiano, che non potrà mai non essere anche autenticamente ecclesiale.
Darío Card. Castrillón Hoyos Prefetto della Conregazione per il clero
Dal Vaticano, 8 dicembre 2003
NOTE
*Premessa di Sua m.za Rev.ma Card Darío Castrillón Hoyos a: MICHELE DE SANTI, L’abito ecclesiatico. Sua valenza e storia, Ravenna: Edizioni Carismatici Francescani, 2004, con un contributo di FRANCO CARDINI.
[
1] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Card. Vicario di Roma (8 settembre 1982): “L’osservatore Romano”, 18-19 ottobre 1982.
[
2] Cf. PAOLO VI, Allocuzioni al Clero (17 febbraio 1969; 17 febbraio 1972; 10 febbraio 1978): AAS 61 (1969). 190; 64 (1972), 223; 70 (1978), 191; GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1979 Novo incipiente (7 aprile 1979), 7: AAS71, 403 – 405; Allocuzioni al Clero (9 novembre 1978; 19 aprile 1979): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1 (1978), 116; II (1979), 929.
[
3] C.I.C., Can 284.
[
4] Cf. PAOLO VI, Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, 1, 25, 2d: AAS 58 (1966), 770; S. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Lettera circolare a tutti i Rappresentanti Pontifici Per venire incontro (27 gennaio 1976); S. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera circolare The document (6 gennaio 1980): “LíOsservatore Romano” suppl., 12 aprile 1980.
[
5] Cfr. PAOLO VI, Catechesi nell’Udienza generale del 17 settembre 1969,Allocuzione al Clero (1 marzo 1973); Insegnamenti di Paolo VI, VII (1969), 1065; XI (1973), 176.


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segunda-feira, 5 de novembro de 2012

Card. Darío Castrillón : Evangéliser sur Internet . Il a tout d’abord insisté sur la nécessité « d’évangéliser à partir d’Internet » en rappelant que « la rencontre personnelle avec le Christ est la clé de toute évangélisation authentique ».

 Il faut « ouvrir la porte de la foi pour que le Christ, le Rédempteur, entre dans nos vies », a-t-il déclaré.

Congrès sur l’Eglise et l’informatique à Monterrey, Mexique
(ZENIT.org) – Dans une intervention au Congrès sur l’Eglise et l’informatique, qui a eu lieu du 2 au 5 avril à Monterrey au Mexique, le cardinal Darío Castrillón Hoyos, préfet émerite de la Congrégation pour le clergé, a analysé le phénomène religieux sur Internet et proposé des pistes de réflexion pour évangéliser à travers la web.

Le cardinal colombien a tout d’abord fait remarquer que les pages religieuses sur Internet sont extrêmement nombreuses. « Mais s’agit-il de vrais sites religieux ou de créations de la société de consommation, à la mesure de l’homme d’aujourd’hui ? » s’est-il interrogé.

Le cardinal Castrillón Hoyos a décrit le phénomène religieux sur Internet, relevant quatre caractéristiques.

« Il existe un sécularisme virtuel, a-t-il précisé. Dans de nombreux sites d’aspect apparemment religieux nous ne trouvons en fait que de la ‘pseudosacralité’. Le sécularisme ne se présente plus comme une absence d’éléments sacrés mais comme l’offre, presque commerciale, de religions sans élément sacré ou qui ont un concept irréel du sacré, à la mesure de l’être humain ».

Le cardinal a ensuite parlé du « relativisme on line ». Sur Internet, a-t-il expliqué « rien n’est absolu, ni même vrai. Lorsqu’il entre dans le réseau, le navigateur découvre de multiples propositions de bonheur qui lui sont offertes avec des arguments très attrayants, avec de nombreuses promesses de vie meilleure, de dépassement personnel, mais sans référence à la vérité de leurs contenus. En fait, pour un homme d’aujourd’hui, parler de vérité est presque de mauvais goût ».

La troisième caractéristique de la religiosité sur Internet est « le syncrétisme digital », a affirmé le cardinal Castrillón Hoyos. « Du point de vue religieux, Internet est comme un institut de beauté intérieure, comme un gymnase psycho-physique dans lequel on reçoit d’extraordinaires leçons de sagesse comprimée ».

Pour terminer, le cardinal a analysé la relation entre « web et liberté » comme un autre aspect particulier du phénomène religieux sur Internet.

« Internet est comme un autel sur lequel on rend un culte au concept de la liberté », a-t-il déclaré.

Le préfet emérite de la congrégation pour le clergé a ensuite proposé quelques clés pour évangéliser l’ère digitale.

Il a tout d’abord insisté sur la nécessité « d’évangéliser à partir d’Internet » en rappelant que « la rencontre personnelle avec le Christ est la clé de toute évangélisation authentique ». Il faut « ouvrir la porte de la foi pour que le Christ, le Rédempteur, entre dans nos vies », a-t-il déclaré.

Le cardinal a précisé que beaucoup voient aujourd’hui l’Eglise comme « une institution légaliste, faite d’impositions ». Les gens ne comprennent pas que ces « lois » sont « chemin de liberté, d’une liberté qui doit être guidée par l’amour ».

« Et l’Eglise, c’est-à-dire nous, que fait-elle ? s’est-il interrogé. L’Eglise doit leur ouvrir ses portes et leur montrer l’amour du Père qui vit en elle. Et ceci, elle peut le faire, elle doit le faire, également à travers Internet ».

Pour terminer, le cardinal Castrillón Hoyos a encouragé « une nouvelle forme d’inculturation ». « L’Eglise a le devoir d’apprendre les nouveaux protocoles de la communication et les nouveaux langages télématiques pour pouvoir continuer son dialogue avec l’humanité, a-t-il déclaré. C’est le seul moyen d’établir un vrai dialogue avec l’homme d’aujourd’hui dans un moyen de communication comme Internet, qui est essentiellement interactif ».

Darío Card. Castrillón Hoyos, President Emeritus of the Pontifical Commission Ecclesia Dei, gave an interview to L’Osservatore Romano.

 
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The sense of Catholicity and unity in the liturgy
by Gianluca Biccini
"Benedict XVI’s apostolic letter Summorum Pontificum on the use of the Roman liturgy before the reform effected in 1970 is causing to return also some non-Catholics into full communion with Rome. Requests are being received for this after the Pope renewed the possibility of celebrating according to the old rite". Thus affirmed Darío Card. Castrillón Hoyos, President of the Pontifical Commission Ecclesia Dei, who in this interview with our newspaper, after the publication of the pontifical document in the Acta Apostolicae Sedis, clarified some of its contents and underscored its importance as a tool to preserve the treasury of the liturgy that comes from the time of St. Gregory the Great and for a renewed dialogue with those who, because of the liturgical reform, were distanced from the Church of Rome. The publication in the Acta preceded by a few days the nomination by Benedict XVI the preceding Secretary Camille Perl as Vice President of Ecclesia Dei, and of the adjunct Secretary Mario Marini as Secretary.
The Letter, in the form of a Motu Proprio, does not refer to the normal contemporary form, the ordinary form – of the Eucharistic liturgy, which is the one published in the Missale Romanum by Paul VI and then reedited on two occasions by John Paul II; instead this refers to the use of the extraordinary form, which is the one in the Missale Romanum before the Council, published in 1962 on the authority of John XXIII. This doesn’t deal with two different rites, but of a two-fold use of one Roman Rite. "This was the form celebrated", the Columbian Cardinal explained, "that was used for more than 1400 years. This rite, which we could call ‘Gregorian’, inspired the Masses of Palestrina, Mozart, Bach and Beethoven, great cathedrals and marvelous works of painting and sculpture."
"Thanks to the Motu Proprio, not a few people have asked to return to full communion and some have already returned," the President of Ecclesia Dei added. In Spain, the "Oasis of Jesus the Priest", an entire cloistered monastery with thirty sisters guided by their founder, has already been regularized by the Pontifical Commission; also there are groups of Americans, Germans and French on the path to regularization. And finally there are individual priests and many lay people who have contacted us, writing to us and asking us for reconciliation and, on the other hand, there are many other faithful who have manifested their gratitude to the Pope and their pleasure in the Motu Proprio."
Some have accused the Pope of wanting to impose a liturgical model in which language and gestures of the rite seem to be monopolized exclusively by the priest, while the faithful wind up marginalized and thus excluded from a direct relationship with God.
On the occasion of the Baptism of the Lord, for example, Benedict XVI basically celebrate in the Sistine Chapel facing toward the Crucifix. The Pope celebrated in Italian according the ordinary form, that does not exclude, however, the possibility of celebrating toward an altar not versus populum and that foresees also celebration in Latin. Let’s remember that the ordinary form is the Mass that normally all priests priests say, according to the post-Conciliar reform; while the extraordinary for is the Mass from before the liturgical reform which, according to the norms of the Motu Proprio today all can celebrate and was never prohibited.
But some criticisms seem to be coming also from bishops?
A few have problems, but we’re dealing with a few exceptions, because the large part are in agreement with the Pope. Rather, there are showing up some practical difficulties. It is necessary to make this clear: we are not dealing with a return to the past, but rather a progress, because this way we have two riches, instead of one only. Furthermore, this wealth is offered respecting the rights of those who are especially bound to the older liturgy. Here we can get into some problems in a positive sense. For example, it can happen that a priest doesn’t have the training and the adequate cultural sensibility. It’s enough to think about priests who are from areas where the language is far different from Latin. But we aren’t always talking about refusal: it is the presentation of a real difficulty which must be overcome.
Our Commission itself is thinking to organize a form of help for seminaries, dioceses and episcopal conferences. Another facet of the study is to promote multimedia aids for the understanding of and learning of the extraordinary form with all its theological, spiritual and artistic richness bound up also with the old liturgy. Moreover, is seems important that there be involved groups of priests who are already using the extraordinary form, who are offering themselves to celebrate, to demonstrate, to teach celebration according to the 1962 Missale.
So, there isn’t a problem?
It is rather a controversy born from a certain lack of understanding. Some, for example, ask permission, as if we were dealing with a concession or an exceptional case, but there isn’t any need for this. The Pope was clear. It is an error on the part of some and some journalists, to maintain that the use of the Latin language concerns only the older rite, while instead it is foreseen also in the Missal of Paul VI.
Through the Motu Proprio Summorum Pontificum the Pope offers all priests the possibility of celebrating Mass also in the traditional form and to the faithful to exercise their right to have this rite when there are the conditions specified in the Motu Proprio.
How have groups like the Society of St. Pius X reacted, who refused to celebrate Mass with the Novus Ordo established after Vatican II?
The Lefevbrites from the very beginning affirmed that the old form was never abolished. It is clear that it was never abrogated, even if before the Motu Proprio not a few considered it prohibited. Now, instead, it can be offered for all the faithful who wish it according as it is possible. But it is also clear that if there are not priests who are adequately prepared, it can’t be offered, because we are dealing with not only with the Latin language, but also knowledge of the old rite as such. Finding some quiet time today is for our culture a necessity which is not only religious. I remember I that as a bishop I participated in a course for high level management, where they spoke of the need for managers to have at their disposition a semi-dark room in which they could sit and think things over before making decisions. Silence and contemplation are necessary attitudes even today, above all when dealing with the mysteries of God.
Eight months have passes since the promulgation of the document. Is it true that it has aroused agreement also in other ecclesial entities?
The Pope offered to the Church a treasure which is spiritual, cultural, religious and Catholic. We received letters of agreement also from prelates of Orthodox Churches, from Anglican and Protestant faithful. Also, there are some priests of the Society of St. Pius X who, individually, are seeking regularization of their position. Some of them have already signed a formula of adhesion. We are informed that there are traditionalist lay faithful, close the Society, who have begin to attend Masses in the old rite offered in the churches of their dioceses.
How is return to "full communion" possible for people who are excommunicated?
The excommunication regarded only the four bishops, because they were ordained without the mandate of the Pope and against his will, while the priests are only suspended. The Mass they celebrate is without question valid, but not licit and, therefore, participation is not recommended, at least when on Sunday there are not other possibilities. Certainly neither the priests nor the faithful are excommunicated. I would like to underscore the importance of clear understanding of these things to be able to judge them correctly.
Aren’t you worried that the attempt to bring into the Church men and women who don’t recognize the Second Vatican Council might not provoke a distancing of the faithful who instead see Vatican II as a compass by which we navigate the barque of Peter, above all in these times of continuous change?
Above all the problem about the Council is not, in my opinion, as grave as it would seem. In fact, the bishops of the Society of St. Pius X, with their head Mons. Bernad Fellay, have expressly recognized Vatican II as an Ecumenical Council and Mons. Fellay underscored this in a meeting with John Paul II, and more explicitly in an audience of 29 August 2005 with Benedict XVI. Nor can we forget that Mons. Marcel Lefebvre signed all the documents of the Council.
I think that their criticism of the Council regarding above all the clarity of some texts, in the absence of which the road to interpretations out of accord with traditional doctrine is opened up. The biggest difficulties are of an interpretive nature or they have to do with some gestures on the ecumenical plane, but not with the doctrine of Vatican II. We are dealing with theological discussions, which can have their place within the Church, where in fact there exist different discussions of interpretation of conciliar texts, discussion which can go on also with groups who return to full communion.

So, the Church is reaching out a hand, even through this Motu Proprio on the old liturgy?

Yes, without question, because it is precisely in the liturgy that the meaning of catholicity is expressed and that is the source of unity. I very much like the Novus Ordo which I celebrate daily. I had not celebrated according to the Missal of 1962 after the post-conciliar liturgical reform. Today, in taking up again sometimes the extraordinary rite, I also have discovered the richness of the old liturgy which the Pope wanted to maintain as living, preserving that centuries old form of the Roman tradition.
We must never forget that the supreme point of reference in the liturgy, as in life, is always Christ. Therefore we are not afraid, even in liturgical ritual, to direct ourselves toward Him, toward the Crucifix, together with the faithful, to celebrate the holy Sacrifice, in an unbloody way, as the Council of Trent defined the Mass.

domingo, 16 de setembro de 2012

Homélie du Cardinal Dario Castrillon Hoyos, Basilique Sainte Marie Majeure

  24 mai 2003

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Loué soit Jésus-Christ!
Aujourd'hui trois figures attirent notre regard de croyants, dans cette Basilique Patriarcale de Sainte-Marie-Majeure: Marie la Très Sainte, le Pierre d'aujourd'hui, et Saint Pie V.
1. Marie, la Très Sainte Mère de Dieu
Tournons donc notre premier regard vers Marie la Très Sainte, la Mère de Dieu, la Theotokos.
La Divine Providence nous a réunis dans cette Basilique, première église mariale de Rome et de l'occident, nous qui sommes des catholiques de différentes parties du monde unis dans la même foi. Nous nous adressons à Vous, Mère de Dieu, heureux d'avoir été accueillis dans votre maison, dans le cadre de cette année du Rosaire proclamée par le Saint-Père.
Salve, sancta Parens, enixa puérpera Regem, qui caelum terramque regit in saecula saeculorum.
Dans ce saint temple, tout nous parle du mystère de l'incarnation du Verbe de Dieu dans le sein de la Vierge Marie. Ici, elle nous apparaît dans son rapport permanent avec le mystère auguste de la Trinité Sainte. Le Père qui, dans son dessein de salut, a voulu envoyer son Fils vers le monde, demande à Marie de Nazareth son adhésion et son consentement. L'Esprit Saint la féconde, arche de la nouvelle alliance, temple d'or. Et voilà le miracle: ecce concipies in utero et paries filium et vocabis nomen eius Iesum. Marie donne chair au Verbe éternel (cf. Lc. 1, 30-38).
Mais ce temple ne nous reporte pas seulement en esprit à Bethléem, à cet "et incarnatus est" de notre profession de foi : la "confession" sous cet autel, avec les reliques de la mangeoire que l'on y vénère, en perpétue le souvenir. Cette basilique nous reporte aussi à notre commune espérance en la résurrection et en la gloire. Il suffit de contempler la splendide mosaïque de l'abside: Marie, depuis l'annonciation jusqu'à sa glorieuse assomption.
C'est toute l'existence de Marie la Très Sainte, présentée à la contemplation priante du croyant. C'est le mystère de toute notre existence qui est reproduit ici.
En effet, une des intuitions du Concile Oecuménique Vatican II, en continuité avec toute la Traditio Ecclesiae, consiste à faire le lien entre la Très Sainte Vierge Marie et l'Eglise, dont elle est l'icône la plus éloquente. Le chapitre VIII de la Constitution dogmatique Lumen gentium est dédié à la "Très Sainte Vierge Marie, Mère de Dieu dans le mystère du Christ et de l'Église." "Reconnue et honorée comme la vraie mère de Dieu et du Rédempteur", elle est, également, "la fille préférée du Père et le temple de l'Esprit Saint"; et elle est dans le même temps, "un membre singulier de l'Eglise et son image, son meilleur modèle dans la foi et dans la charité, et l'Eglise catholique, enseignée par l'Esprit Saint, la vénère d'une affection de pitié filiale comme sa mère très aimée" (Lumen gentium, n. 53).
Le même Concile nous présente ainsi la Sainte Vierge comme étant toujours présente aux vicissitudes quotidiennes de l'Eglise, de chacun de ses membres, et une fois de plus il la rend présente à nos affections: l'Auxilium Christianorum. En elle nous contemplons toute la beauté de l'Eglise telle qu'elle a été pensée et qu'elle est née dans le cœur divin de son Fondateur, chez qui tout est lumière, et chez qui il n'y a pas d'ombres. Ces dernières, dans notre chemin historique, viennent de la nature humaine de ses membres, pauvres pécheurs qui ont toujours besoin de conversion et de salut.
2. Le successeur de Pierre
La seconde figure qui est intensément présente aujourd'hui, c'est la personne vénérée du Saint-Père, l'Évêque de Rome et, en tant que tel, le Successeur de Saint Pierre. Il est - comme l'enseigne le Concile Vatican II en continuité avec Vatican I - "le principe et fondement perpétuel et visible de l'unité, tant des Évêques que de la multitude des fidèles" (Concile Œcuménique Vatican II, Const. Lumen gentium, 23; cf. Concile Vatican I, const. Pastor Aeternus, introduction, DZ 3050-3051).
Au milieu des flots de l'histoire, il est "le Roc." C'est là l'expression araméenne utilisée par le Divin Fondateur de l'Eglise à propos de Simon, telle que la rapporte le chapitre 16° de l'Évangile de Saint Matthieu. Mais pour mieux comprendre la pensée du Christ sur le Roc, l'épilogue du chapitre VII du même évangile nous éclaire. Pour Jésus le roc, la pierre, c'est la fondation : si le bâtiment repose sur elle, la tempête la plus terrible peut bien se déchaîner, la maison résiste. La consistance du nom conféré à Pierre est donc claire. Le concept de Pierre contient celui de consistance, de résistance, de cohésion, de fermeté, de solidité et de force.
Avec l'éloquence qui le caractérise, Saint Léon le Grand enseignait: "Cette disposition de la Vérité demeure à jamais; et Pierre, en persévérant dans cette solidité de la pierre qui lui a été assignée, n'a plus abandonné le gouvernail de l'Eglise. En effet, il a été préposé à tous les autres, de sorte que, quand on l'appelle 'pierre', quand on le dénomme 'fondement', quand il est constitué 'gardien du royaume des cieux', quand il est préposé comme arbitre de l'œuvre de lier et de délier dont les jugements resteront stables jusque dans les cieux, il nous est donné de connaître quelle est son union avec le Christ à travers le mystère de ces surnoms" (S. Léon le Grand, Sermo 3).
C'est à Jean Paul II, notre Pape bien-aimé, que vont notre pensée, notre prière et notre profond et affectueux sens de la communion ecclésiale. Au cours de ces vingt-cinq ans, sa vie et son ministère apostolique suprême sont caractérisés par la défense infatigable de la Vérité, par le dévouement total à la cause de l'unité de l'Eglise et par l'œuvre pastorale prophétique et courageuse pour la promotion de la vraie et juste paix entre les peuples et entre tous les hommes. Plus sa personne physique semble fragile, et plus fort se dresse son rôle moral et spirituel devant l'humanité. "Et toi, confirme tes frères!" (Lc 22, 32).
Nous sommes plus que jamais conscients des orages et des défis qui se présentent pour le Corps Mystique du Christ. Tel est le sort de l'Eglise, divine dans son essence et humaine dans ses membres. Nous souffrons de tant de contradictions, que la nature humaine et le péché peuvent infliger à l'histoire tourmentée de notre humanité et à la marche de l'Eglise, en pèlerinage vers la Patrie définitive. Mais nous sommes invités à renouveler constamment notre confiance au Seigneur de l'Histoire, Fondateur et Tête invisible de son Corps Mystique: "N'ayez pas peur... J'ai vaincu le monde" (Jn 16,33).
L'Eglise est victorieuse de par l'assistance permanente de l'Esprit Saint, garant de la continuité de la foi catholique: "et les portes de l'enfer ne prévaudront point" (Mt 16, 18). Victorieuse, parce que dans les Sacrements nous est garantie la grâce qui transforme et qui sanctifie. L'Eglise est victorieuse, parce que construite sur le roc de Pierre, qui n'est autre que le roc même du Christ. Victorieuse, parce que la communion avec les Pasteurs légitimes garantit cette note de catholicité, indispensable pour rester dans la société mystique du Corps du Christ. L'Eglise est victorieuse en ses Saints: comme sont nombreuses et emblématiques les figures de sainteté sublime par lesquelles le Saint-Père a étendu le sanctoral, et qu'il nous a proposées au cours de ce quart de siècle de Souverain Pontificat!
"Duc in altum!" s'exclame Jean Paul II, et en lui c'est la voix même du Bon Pasteur qui résonne. "Hommes de peu de foi, pourquoi doutez-vous?." "Jetez vos filets pour la pêche... Duc in altum!" Et la pêche devient abondante (cf. Lc 5, 4).
"Duc in altum!" Nous voulons prendre le large dans la barque de Pierre. Avec Saint Léon le Grand, nous voulons réaffirmer notre foi: "La solidité que lui, Pierre devenu pierre, a reçu de la pierre qui est le Christ, se propage aussi dans ses héritiers..." (St Léon, Sermo 5). Nous voulons dire avec Saint Jérôme: "Je ne veux suivre aucune autre primauté que celle du Christ; c'est pour cela que je me mets en communion avec la chaire de Pierre" (Epistola ad Damasum).
Ici nous prions avec celle qui est l'Auxilium Christianorum pour entourer le Vicaire du Christ de la chaleur de notre affection, et nous le faisons avec la réalité la plus puissante qui soit: le saint sacrifice de la Messe dans lequel " s'accomplit l'œuvre de notre Rédemption " (Conc. Vat. II, Const. Sacrosantum Concilium, n. 2). Réalité absolument toute-puissante, en tant qu'il renouvelle, de manière non sanglante, l'unique Sacrifice de la Croix, en rendant substantiellement présents le Corps et le Sang du Christ. L'unique Sauveur représente et réactualise constamment dans la Messe le fruit infini du Sacrifice sanglant de la Croix, offert pour le rachat de nos péchés.
3. Le vénérable rite de Saint Pie VAujourd'hui une coïncidence providentielle nous permet de rendre son culte à Dieu en célébrant le divin Sacrifice selon le rite romain qui prit forme dans le Missel dit de Saint Pie V ; ses dépouilles mortelles reposent justement dans cette Basilique. Voilà la troisième figure, bien présente à cette célébration.
Vous-mêmes, très chers fidèles, particulièrement sensibles à ce rite qui a constitué pendant des siècles la forme officielle de la Liturgie romaine, vous avez pris l'initiative de cette célébration d'aujourd'hui. Et j'ai été heureux de pouvoir répondre à cette demande - qui va bien au-delà du nombre que vous êtes - tant parce qu'elle était motivée par une dévotion filiale au Saint-Père, à l'approche du vingt-cinquième anniversaire de Son Pontificat, et tant pour reconnaître les fruits de sainteté que le Peuple chrétien a obtenu de la Sainte Eucharistie dans le cadre de ce rite.
On ne peut pas considérer que le rite dit de Saint Pie V soit éteint, et l'autorité du Saint-Père a exprimé son accueil bienveillant envers les fidèles qui, tout en reconnaissant la légitimité du rite romain renouvelé selon les indications du Concile Vatican II, restent attachés au rite précédent et y trouvent une nourriture spirituelle solide dans leur chemin de sanctification. D'ailleurs le même Concile Vatican II déclarait que "... la sainte Mère l'Eglise tient pour égaux en droit et en dignité tous les rites légitimement reconnus, et elle veut qu'à l'avenir ils soient conservés et favorisés de toute façon ; le Concile désire que là où c'est nécessaire, ils soient intégralement révisés avec prudence, dans l'esprit de la saine tradition, pour leur donner une nouvelle vigueur en fonction des circonstances et des besoins de notre époque" (Conc. Oecum. Vatican II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 4).
L'ancien rite romain conserve donc dans l'Eglise son droit de citoyenneté au sein de la multiformité des rites catholiques tant latins qu'orientaux. Ce qu'unit la diversité de ces rites, c'est la même foi dans le mystère eucharistique, dont la profession a toujours assuré l'unité de l'Eglise, sainte, catholique et apostolique.
Jean-Paul II, en célébrant le dixième anniversaire du Motu proprio Ecclesia Dei, exhortait "tous les catholiques à accomplir des gestes d'unité et à renouveler leur adhésion à l'Eglise, pour que la diversité légitime et les sensibilités différentes, dignes de respect, ne les séparent pas les uns des autres, mais les poussent à annoncer l'évangile ensemble; ainsi - poursuivait le Saint-Père - stimulés par l'Esprit qui fait concourir tous les charismes à l'unité, tous pourront glorifier le Seigneur et le salut sera proclamé à toutes les nations" (OR, le 26-27 octobre 1998, p. 8).
Tout cela est un motif de gratitude spéciale envers le Saint-Père. Nous sommes reconnaissants de cœur pour la compréhension exquise et paternelle qu'Il témoigne à ceux qui désirent maintenir vive, dans l'Eglise, la richesse que représente cette vénérable forme liturgique ; elle a nourri son enfance et sa jeunesse, elle a été celle de son ordination presbytérale, de sa première Messe, de sa consécration épiscopale, et elle fait donc partie de sa plus belle couronne de souvenirs spirituels.
Je sais que vous êtes immensément reconnaissants au Saint-Père pour l'invitation qu'il a adressée aux Évêques du monde entier "à avoir une compréhension et une attention pastorale renouvelée pour les fidèles attachés à l'ancien rite; et, au seuil du troisième millénaire, à aider tous les catholiques à vivre la célébration des saints mystères avec une dévotion qui soit un vrai aliment pour leur vie spirituelle et qui soit source de paix" (OR le 26-27 octobre 1998, 8).
Cette dévotion, comme l'enseignait l'Aquinate, doit être la plus haute possible, "propter hoc quod in hoc sacramento totus Christus continetur" (III q. 83, à. 4, à 5).
Nous sommes tous appelés à l'unité dans la Vérité, dans le respect réciproque de la diversité des opinions, sur la base de la même foi, en procédant "in eodem sensu" et en se souvenant du dicton augustinien: "In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas".
Au nom de vous tous, et de tous ceux qui aujourd'hui s'associent à nous dans cette célébration, je répète avec la Sainte Eglise, à la Très Sainte Trinité qui nous a donné Marie comme auxiliatrice: "concede propitius, ut, tali praesídio muniti certantes in vita, victóriam de hoste malígno cónsequi valeámus in morte." (Missale Romanum, Messe du jour, Collecte).
Loué soit Jésus-Christ.

segunda-feira, 10 de setembro de 2012

Su Eminencia el Cardinal Castrillón Hoyos ha celebrado en Schleiz, Alemania, el matrimonio entre la Princesa Begnina Reuss y el noble español Oscar de Ascoz y Planes, Caballero de la Orden de Malta. La Misa Pontifical ha sido oficiada con la Forma Extraordinaria del Rito Romano.

 

El pasado 3 de septiembre, Su Eminencia el Cardinal Castrillón Hoyos ha celebrado en Schleiz, Alemania, el matrimonio entre la Princesa Begnina Reuss y el noble español Oscar de Ascoz y Planes, Caballero de la Orden de Malta. La Misa Pontifical ha sido oficiada con la Forma Extraordinaria del Rito Romano. El presbítero asistente fue el reverendo Gerald Goesche, del Instituto de San Felipe Neri, y el diácono el padre Lang, CO.




isto em:http://accionliturgica.blogspot.com/

sábado, 11 de agosto de 2012

RECORDAMOS SEMPRE O APÓSTOLO DA MISSA GREGORIANA

Cardinal Darío Castrillón Hoyos

Solemn Pontifical Mass


His Eminence, Dario Cardinal Castrillon Hoyos, President Emeritus of the Pontifical Commission Ecclesia Dei will offer a Solemn Pontifical Mass at the Chiesa dell’ Ascensione a Chiaje in Naples in the Traditional Roman Rite on January 16th, 2010

Cardinal Darío Castrillón Hoyos
Your Eminence, what is the significance of this motu proprio that liberalizes the use of the so-called Missal of Saint Pius V?
DARÍO CASTRILLÓN HOYOS: When, after Vatican Council II, there were changes in the liturgy, substantial groups of laity and also of churchmen felt uneasy because they were strongly attached to the liturgy in force for centuries. I am thinking of the priests who for fifty years had celebrated the so-call mass of Saint Pius V and who suddenly found themselves having to celebrate another, I am thinking of the faithful for generations accustomed to the old rite, I am also thinking of children like the altar boys who suddenly found themselves lost in serving mass with the Novus ordo. So there was uneasiness at various levels. For some it was also of a theological nature, people who retained that the old rite expressed the sense of the sacrifice better than the one brought in. Others, not least for cultural reasons, were nostalgic for the Gregorian and the great polyphonies that were a treasure of the Latin Church. To aggravate everything there was the fact that those who felt the uneasiness blamed the changes on the Council, when in reality the Council itself had neither asked nor foreseen the details of the changes. The Mass that the Council Fathers celebrated was the Mass of Saint Pius V. The Council had not asked for the creation of a new rite, but a greater use of the vernacular and greater participation by the congregation. READ...




Cardinal Castrillo Hoyos decries liturgical abuses as he celebrates third pontifical



If the frequency of celebrations of solemn pontificals in the extraordinary or Gregorian rite in St. Peter’s basilica is anything to go by to assess any progress of the motu proprio “Summorum Pontificum” implementation, then the situation would appear somewhat rosy.



In fact, on Saturday 5 November 2011 a third pontifical in the extraordinary rite was celebrated by Cardinal Dario Castrillon Hoyos since 2009, in the Eucharistic Adoration (or Blessed Sacrament) Chapel in St. Peter’s basilica to usher in the two-day proceedings of the 20th Bi-Annual General Assembly of FIUV in Rome. READ...
Su Eminencia el Cardenal Darío Castrillón Hoyos, Presidente Emérito de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei, ha oficiado la Santa Misa Pontifical con la Forma Extraordinaria del Rito Romano, en la mañana del sábado 5 de noviembre, con motivo de la Asamblea General de la Asociación Internacional Una Voce. La Misa ha tenido lugar en la Capilla del Santísimo Sacramento.

sexta-feira, 6 de julho de 2012

Cardeal Darío Castrillón : O Rito Gregoriano é hoje um rito litúrgico vivo, o qual continuará seu progresso sem perder nenhuma de suas riquezas, amparado na tradição.

Cardeal Darío Castrillón  FEZ 83 anos

Desde o nosso Blog Missa Tridentina em Portugal queremos unir-nos em espírito a Sua Eminência o Cardeal Darío Castrillón no Te Deum a Deus pelos seu 83ºAniversário e pelo seu amor e zelo em prol do fomento da Missa Tridentina no mundo dando assim cumprimento ao Motu Proprio Summorum Pontificum do Papa Bento XVI que foi publicado a 7 de Julho de 2007.
Conhecemos o seu zelo incansável e dele ainda esperamos novos frutos já que nos prometeu que vai escrever um livro sobre a Missa Tridentina, que Deus o inspire e o siga iluminando no seu apostolado sacerdotal e Ad Multos Annos...
 

O Rito Gregoriano é hoje um rito litúrgico vivo, o qual continuará seu progresso sem perder nenhuma de suas riquezas, amparado na tradição.



Párocos e bispos "devem aceitar" os pedidos dos Católicos que pedirem a antiga forma da Missa (em latim ). Este é o "expresso desejo do Papa, "legalmente estabelecido", o qual "deve ser respeitado tanto pelos superiores eclesiásticos como pelos ordinários locais", insistiu. O Cardeal Castrillón continuou, afirmando que "todos os seminários" devem prover treinamento na outra forma da Missa "como um hábito".

Cardeal Dário Castrillon Hoyos – Cardeal encarregado pela implementação da liberalização da Missa Latina e dos outros ritos como eram celebrados antes do Concílio Vaticano II, feita pelo Papa Bento XVI – fez estas observações no prefácio da próxima edição do livro "As Cerimónias do Rito Romano Descritas", o manual inglês padrão a respeito de como celebrar os ritos antigos, lançado ontem.

O Cardeal Castrillón comentou o livro, – 50ª edição, desde que foi publicado pelo Padre inglês Dr. Adrian Fortescue, em 1917 – editado pelo distinto estudioso liturgista Dr. Alcuin Reid, como "uma fonte confiável para a preparação e celebração dos ritos litúrgicos", que o Papa Bento "autoritativamente decretou que podem ser livremente usados". Espera-se que a obra seja publicada pela Continuum/Burns & Oates pelo fim de 2008.



Alcuin Reide, falando de Londres, disse: "A honra do Cardeal ter concordado com este livro demonstra e dá ênfase à importância da antiga forma da Missa e dos sacramentos na renovação geral do Papa Bento na vida litúrgica da Igreja Católica". Ele continua: "Nós estamos em um momento crítico na história da liturgia, e a retirada das restrições da celebração dos antigos ritos, possibilita que estes contribuam com a devoção Católica através do mundo, e reforçam a sua qualidade.

O Director de Publicações de Londres da Continuum, Robin Baird-Smith, acrescentou: "Nós estamos encantados com o fato deste título ter retornado à impressão da 'Burns & Oates', e de uma obra tão importante para estes tempos estar sendo publicada".
Adrian Fortescue, J.B. & Alcuin Reid, "As Cerimónias do Rito Romano Descritas" será publicado em Outubro de 2008 no Reino Unido e em Dezembro de 2008 nos EUA.



Da nova edição do "Cerimónias", eis o prefácio do Cardeal Castrillon Hoyos:

É um prazer para mim apresentar esta 50ª edição de "As Cerimônias do Rito Romano Descritas", a primeira edição desde que o Motu Proprio de nosso Santo Padre, o Papa Bento XVI, Summorum Pontificum, datado de 07 de Julho de 2007, esclareceu definitivamente que os ritos de acordo com os livros litúrgicos em uso em 1962 nunca foram ab-rogados, e que constituem verdadeiramente um tesouro que pertence à toda a Igreja Católica e devem estar disponíveis largamente a todos os fiéis Cristãos.



Está claro, agora, que os Católicos têm um direito jurídico aos antigos ritos litúrgicos, e que os párocos e bispos devem aceitar tais petições e pedidos dos fiéis que pedem por estes ritos. Este é o desejo expresso do Romano Pontífice, legalmente estabelecido no Summorum Pontificum, de forma que deve ser respeitado tanto pelos superiores eclesiásticos como pelos ordinários locais.

O Santo Padre está satisfeito com a generosa resposta à sua iniciativa, pelos vários padres que se dispuseram a aprender novamente os ritos e cerimônias do Santo Sacrifício da Missa e dos outros sacramentos, conforme o Usus Antiquor, de forma que possam servir às pessoas que o desejam. Eu encorajo os padres a fazerem isso, em espírito de generosidade pastoral e amor pelo patrimônio litúrgico do Rito Romano.



Os seminaristas, como parte de sua formação em liturgia da Santa Igreja, devem também se familiarizar como tal uso do Rito Romano, não somente para servir às pessoas de Deus que requisitarem esta forma da devoção Católica, mas também para ter uma profunda apreciação da formação dos livros litúrgicos em vigor hoje em dia. A partir disso, todos os seminários devem prover tal tipo de treinamento como um hábito.

O presente livro, um guia clássico para a celebração do antigo Rito Gregoriano da Igreja no mundo anglofono, servirá aos sacerdotes e seminaristas do século XXI – da mesma forma que serviu vários sacerdotes do século XX – em sua missão pastoral, a qual agora necessariamente inclui a familiaridade com a abertura ao uso da antiga forma da Sagrada Liturgia.

Eu felizmente exalto esta obra ao clero, seminaristas e leigos, como uma ferramenta confiável para a preparação e celebração dos ritos litúrgicos autoritativamente garantidos pelos Santo Padre no Summorum Pontificum.



Eu felecito o distinto estudioso liturgista,Dr. Alcuin Reid, pelo seu cuidado e precisão em assegurar que sua edição revisada, estivesse de acordo com as últimas decisões autoritativas referentes a estes ritos litúrgicos. Como o Papa Bento XVI escreveu em sua carta que acompanhou o Summorum Pontificum: "Na história da liturgia há um crescimento e progresso, mas não ruptura". O Rito Gregoriano é hoje um rito litúrgico vivo, o qual continuará seu progresso sem perder nenhuma de suas riquezas, amparado na tradição.

Em que o Santo Padre continuou: "Aquilo que para as gerações anteriores era sagrado, permanece sagrado e grande também para nós, e não pode ser de improviso totalmente proibido ou mesmo considerado prejudicial. Faz-nos bem a todos conservar as riquezas que foram crescendo na fé e na oração da Igreja, dando-lhes o justo lugar". Que este livro ajude a Igreja de hoje e de amanhã a realizar a visão do Papa Bento XVI.

Darío Cardeal Castrillón Hoyos
Presidente da Pontifícia Comissão "Ecclesia Dei"
25 de setembro de 2008
 

Card. Darío Castrillón:Con el motu proprio Summorum Pontificum quedó permitida, o más que permitida ofrecida, a todos los sacerdotes del mundo la misa


*Declaraciones de Su Eminencia Reverendísima a RCN Radio de Colombia:

“ Con el motu proprio Summorum Pontificum quedó permitida, o más que permitida ofrecida, a todos los sacerdotes del mundo la misa del rito anterior. Todo sacerdote tiene derecho; el obispo no puede impedir que los sacerdotes celebren en el rito antiguo, y en las casas religiosas no se puede impedir. Y a petición de un grupo de fieles se debe ofrecer la misa.”
Publicado por Fraternidad de Cristo Sacerdote y Santa María Reina

Parabéns a Sua Eminência Cardeal Darío Castrillón pelos seus 83 anos



Em 7 de julho finalmente foi publicado o motu proprio Summorum pontificum, de Bento XVI, que, na prática, libera o uso do Missal Romano de 1962. O motu proprio, que entrará em vigor em 14 de setembro, estabelece que o Missal Romano promulgado por Paulo VI em 1970 é a expressão ordinária da lex orandi da Igreja Católica de rito latino. Assim, o Missal promulgado por São Pio V e publicado novamente pelo bem-aventurado João XXIII deve ser considerado uma forma extraordinária. Dessa forma, não se cria uma espécie de divisão na “lei da fé”, já que são “dois usos do único rito romano”. É lícito, portanto, celebrar a missa de acordo com a edição típica do Missal Romano de 1962. Para que isso aconteça, o motu proprio de Bento XVI indica novas regras, que substituem as estabelecidas pelos documentos anteriores, Quattuor abhinc annos, de 1984, e Ecclesia Dei, de 1988, por meio dos quais se concedia o indulto que permitia a celebração da chamada missa tridentina, mas só mediante prévia autorização do bispo local. A partir de 14 de setembro, nenhum pároco ou reitor poderá impedir que em sua igreja seja celebrada a missa de São Pio V, desde que os fiéis que a pedirem contem com um sacerdote disposto a fazê-lo, e que este seja idôneo e não impedido juridicamente. Mas não é só. O motu proprio estabelece também que o pároco possa permitir o uso do ritual mais antigo na administração dos sacramentos do batismo, da confissão, do matrimônio e da unção dos enfermos. Aos ordinários (bispos e superiores religiosos) concede-se também a faculdade de celebrar o sacramento da crisma nesse rito.
O documento é acompanhado de uma carta, endereçada aos bispos do mundo inteiro, na qual, entre outras coisas, Bento XVI frisa que “não há contradição alguma entre as duas edições do Missale Romanum”. E lembra que na “história da liturgia há crescimento e progresso, mas nenhuma ruptura”, sublinhando que o que para as gerações anteriores era santo “não pode de repente ser completamente proibido ou até considerado danoso”.
30Dias pediu ao cardeal Darío Castrillón Hoyos, colombiano, presidente da Pontifícia Comissão “Ecclesia Dei” desde 2000 (e também ex-prefeito da Congregação para o Clero, que dirigiu de 1996 a 2006), que explicasse os conteúdos mais importantes do motu proprio Summorum pontificum.

Eminência, qual é o sentido desse motu proprio que libera o uso do chamado Missal de São Pio V?
DARÍO CASTRILLÓN HOYOS: Quando, após o Concílio Vaticano II, ocorreram mudanças na liturgia, grupos consistentes de fiéis leigos e também de eclesiásticos se sentiram incomodados, porque tinham uma forte ligação com a liturgia que já vigorava havia séculos. Penso nos sacerdotes que durante cinqüenta anos haviam celebrado a chamada missa de São Pio V e que, de uma hora para outra, viram-se obrigados a celebrar uma outra; penso nos fiéis que estavam acostumados com o velho rito havia gerações; penso ainda nas crianças, como os coroinhas, que de repente ficaram embaraçadas ao servirem à missa com o Novus ordo. Houve um mal-estar em vários níveis. Para alguns, o problema era também de natureza teológica, pois consideravam que o rito antigo expressava o sentido do sacrifício melhor do que o rito que era introduzido. Outros, até por razões culturais, lembravam com saudade o gregoriano e as grandes polifonias, que eram uma riqueza da Igreja latina. Para agravar isso tudo, as pessoas que se sentiam incomodadas atribuíam as mudanças ao Concílio, quando, na realidade, o Concílio por si mesmo não havia nem pedido nem estabelecido os detalhes dessas mudanças. A missa que os padres conciliares celebravam era a missa de São Pio V. O Concílio não havia pedido a criação de um novo rito, mas um uso mais amplo da língua vernácula e uma maior participação dos fiéis.
Concordo, era esse o ar que se respirava há quarenta anos. Mas a geração que manifestou aquele mal-estar não está mais presente. E não é só isso: o clero e o povo também se acostumaram ao Novus ordo, e, na esmagadora maioria dos casos, se sentiram muito bem com ele...
CASTRILLÓN HOYOS: Isso é verdade para a esmagadora maioria, por mais que muitas dessas pessoas nem saibam o que se eliminou com o abandono do rito antigo. Mas nem todas se acostumaram com o novo rito. Curiosamente, nas novas gerações, tanto de clérigos quanto de leigos, parece florescer também um interesse e uma estima pelo rito anterior. E são sacerdotes e simples fiéis que muitas vezes não têm nada a ver com os chamados lefebvrianos. Esses são fatos da vida da Igreja, aos quais os pastores não podem continuar surdos. Foi por isso que Bento XVI, que é um grande teólogo, com uma profunda sensibilidade litúrgica, decidiu promulgar o motu proprio.
Mas já não havia um indulto?
CASTRILLÓN HOYOS: Sim, já havia um indulto, mas João Paulo II mesmo entendeu que o indulto não tinha sido suficiente. Primeiro, porque alguns sacerdotes e bispos relutavam em aplicá-lo. Mas, sobretudo, porque os fiéis que desejam celebrar com o rito antigo não devem ser considerados de segunda categoria. São fiéis aos quais se deve reconhecer o direito de assistir a uma missa que alimentou o povo cristão por séculos, que alimentou a sensibilidade de santos como São Filipe Néri, Dom Bosco, Santa Teresinha do Menino Jesus, o bem-aventurado João XXIII e o próprio servo de Deus João Paulo II, que, como eu já disse, entendeu o problema do indulto e, portanto, já tinha em mente ampliar o uso do Missal de 1962. Devo dizer que, nos encontros com os cardeais e com os chefes dos organismos vaticanos nos quais se discutiu sobre essa medida, as resistências foram realmente mínimas. O papa Bento XVI, que acompanhou o processo desde o início, deu este passo importante que seu grande predecessor já havia imaginado. É uma medida petrina tomada por amor a um grande tesouro litúrgico, como a missa de São Pio V, e também pelo amor de um pastor por um considerável grupo de fiéis.
Mas não faltaram resistências, até de expoentes do episcopado...
CASTRILLÓN HOYOS: Resistências que, na minha opinião, derivam de dois erros. A primeira avaliação errada é dizer que se trata de um retorno ao passado. Não é isso. Mesmo porque nada se tira do Novus ordo, que continua a ser o modo ordinário de celebrar o único rito romano; o que se dá é a liberdade, a quem quiser, de celebrar a missa de São Pio V como forma extraordinária.
Esse é o primeiro erro daqueles que se opuseram ao motu proprio. E o segundo?
CASTRILLÓN HOYOS: Achar que ele diminui o poder episcopal. Isso não é verdade. O Papa não mudou o Código de Direito Canônico. O bispo é o moderador da liturgia em sua diocese. Mas a Sé Apostólica tem a competência de ordenar a liturgia sagrada da Igreja universal. E um bispo deve agir em harmonia com a Sé Apostólica e garantir os direitos de cada fiel, inclusive o direito de participar da missa de São Pio V, como forma extraordinária do rito.

Apesar disso, houve quem afirmasse que, com esse motu proprio, Ratzinger “zomba do Concílio” e “dá uma bofetada” em seus antecessores Paulo VI e João Paulo II...
CASTRILLÓN HOYOS: Bento XVI segue o Concílio, que não aboliu a missa de São Pio V nem pediu que o fizessem. E segue o Concílio, que recomendou ouvir a voz e os desejos legítimos dos fiéis leigos. Quem afirma essas coisas deveria ver as milhares de cartas que chegaram a Roma para pedir a liberdade de assistir a missa a que cada um se sente mais ligado. E o Papa não se contrapõe a seus antecessores, que são amplamente citados tanto no motu proprio quanto na carta que a acompanha. Em alguns casos, o papa Montini concedeu de imediato a possibilidade de celebrar a missa de São Pio V. João Paulo II, como eu já disse, queria preparar um motu proprio semelhante ao que hoje foi publicado.
Chegou-se a temer também que uma pequena minoria de fiéis pudesse impor a missa de São Pio V a toda a paróquia?
CASTRILLÓN HOYOS: Quem disse isso obviamente não leu o motu proprio. É claro que nenhum pároco será obrigado a celebrar a missa de São Pio V. Só que, se um grupo de fiéis, tendo um sacerdote disponível para fazê-lo, pedir que essa missa seja celebrada, o pároco ou o reitor da igreja não poderá se opor. Obviamente, se houver dificuldades, caberá ao bispo fazer que tudo transcorra num clima de respeito e, eu diria, de bom senso, em harmonia com o Pastor universal.
Mas não existe o risco de que, com a introdução de duas formas no rito latino, a ordinária e a extraordinária, possa haver uma confusão litúrgica nas paróquias e nas dioceses?
CASTRILLÓN HOYOS: Se as coisas forem feitas com bom senso, simplesmente, não se correrá esse risco. Além do mais, já há dioceses em que se celebram missas em vários ritos, uma vez que existem comunidades de fiéis latinos, greco-latinos ucranianos ou rutenos, maronitas, melquitas, siro-católicos, caldeus, etc. Penso, por exemplo, em algumas dioceses dos Estados Unidos, como Pittsburgh, que vivem essa legítima variedade litúrgica como uma riqueza, não como uma tragédia. E existem também paróquias que acolhem ritos diferentes do latino, entre outras as de comunidades ortodoxas ou pré-calcedonianas, sem que isso suscite escândalo. Não vejo, portanto, o risco de haver confusões. Contanto, é claro, que tudo se desenvolva com ordem e respeito mútuo.
Há ainda quem considere que esse motu proprio atente contra o caráter unitário do rito, que seria um desejo dos padres conciliares...
CASTRILLÓN HOYOS: Admitindo em primeiro lugar que o rito romano continua a ser único, mesmo podendo ser celebrado de duas formas, tomo a liberdade de recordar que nunca houve um rito único para todos na Igreja latina. Hoje, por exemplo, existem todos os ritos das Igrejas orientais em comunhão com Roma. E mesmo no rito latino existem outros ritos além do romano, como o ambrosiano ou o moçárabe. A própria missa de São Pio V, quando foi aprovada, não anulou todos os ritos anteriores, mas apenas aqueles que não contavam com pelo menos dois séculos de antiguidade...
E a missa de São Pio V? Ela nunca foi abolida no Novus ordo?
CASTRILLÓN HOYOS: O Concílio Vaticano II não a aboliu, nem depois nunca houve nenhuma medida efetiva que estabelecesse sua abolição. Portanto, formalmente, a missa de São Pio V nunca foi abolida. De certa forma, é surpreendente que aqueles que se dizem intérpretes autênticos do Vaticano II dêem a ele uma interpretação, no campo litúrgico, tão restritiva e pouco respeitadora da liberdade dos fiéis, fazendo que esse Concílio, além de tudo, pareça mais coercitivo ainda que o Concílio de Trento.
No motu proprio não se estabelece um número mínimo de fiéis necessários para que se peça a celebração da missa de São Pio V. Mas há algum tempo vazou uma notícia de que se pensava num mínimo de trinta fiéis...
CASTRILLÓN HOYOS: Essa é a prova cabal de como se divulgaram muitas pseudonotícias sobre o motu proprio semeadas por pessoas que nem haviam lido os esboços ou que, por interesses próprias, queriam influenciar sua elaboração. Eu acompanhei todo o processo até a redação final e, que eu me lembre, em nenhum esboço jamais apareceu qualquer limite mínimo de fiéis, nem de trinta, nem de vinte, nem de cem.

Por que se optou por apresentar o texto do motu proprio antecipadamente a alguns eclesiásticos, em 27 de junho?
CASTRILLÓN HOYOS: O Papa não podia chamar todos os bispos do mundo, por isso convocou alguns prelados, por diferentes motivos particularmente interessados na questão, que representassem todos os continentes. Apresentou o texto a eles, dando-lhes a possibilidade de fazerem observações. Todos os participantes puderam falar.
À luz desse encontro, houve alguma variação no texto do motu proprio que havia sido aprontado?
CASTRILLÓN HOYOS: Foram solicitadas e introduzidas pequenas variações lexicais, não mais que isso.
Que perspectivas o motu proprio pode abrir em relação aos lefebvrianos?
CASTRILLÓN HOYOS: Os seguidores de dom Lefebvre sempre pediram que todo sacerdote pudesse celebrar a missa de São Pio V. Hoje, essa faculdade é oficial e formalmente reconhecida. Por outro lado, o Papa frisa que a missa que nós todos oficiamos todos os dias, a do Novus ordo, continua a ser a forma ordinária de celebrar o único rito romano. E, assim, sublinha que não se pode negar nem o valor nem muito menos a validade do Novus ordo. Isso deve ser claro.
O motu proprio aumentará a responsabilidade de “Ecclesia Dei”?
CASTRILLÓN HOYOS: Esta Comissão foi fundada para reunir os leigos e os eclesiásticos que abandonaram o movimento lefebvriano depois das consagrações episcopais ilegítimas. De fato, ela depois trabalhou também por um diálogo com a própria Fraternidade de São Pio X, na perspectiva de uma plena comunhão. Hoje, o motu proprio se dirige a todos os fiéis ligados à missa de São Pio V, e não apenas aos de proveniência, por assim dizer, lefebvriana. E isso obviamente pressupõe para nós um trabalho muito mais amplo.
fonte:30 giorni

EL CARDENAL CASTRILLÓN CUMPLE OCHENTA TRES AÑOS

 
EL CARDENAL CASTRILLÓN CUMPLIÓ
          OCHENTA TRES AÑOS .

  "Nuestro" cardenal, Su Eminencia Darío Cardenal Castrillón Hoyos, cumple   83 años, lo que supone su retiro al frente de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei. Dios premie al cardenal todos sus esfuerzos y su trabajo en pro de la Iglesia. Ha anunciado que seguirá viviendo en el Vaticano y va a escribir un libro dedicado a la Forma Extraordinaria, además de dar conferencias y seminarios sobre la misma, y colaborará en parroquias. Como él dice: "uno no se jubila cuando está comprometido con Cristo".
 

 Monseñor Castrillón Hoyos declara que ha cumplido los tres objetivos que se propuso en Ecclesia Dei: "Que todos los sacerdotes del mundo pudieran celebrar la Misa libremente; que se liberara el rito antiguo sin oponerle el nuevo y sin que fuera obligatorio; y levantar la excomunión de los obispos lefebvrianos y acercarlos a la Iglesia".
Fonte:una voce málaga

Cardeal Dario Castrillon : A Missa Tridentina é uma oferta generosa do Vigário de Cristo que quer pôr à disposição da Igreja todos os tesouros


Cardeal Dario Castrillon
Trata-se pelo contrário de uma oferta generosa do Vigário de Cristo que, como expressão de sua vontade pastoral, quer pôr à disposição da Igreja todos os tesouros da liturgia latina que durante séculos nutriu a vida espiritual de tantas gerações de fiéis católicos. O Santo Padre quer conservar os imensos tesouros espirituais, culturais e estéticos ligados à liturgia antiga.

A recuperação desta riqueza se une à não menos preciosa da liturgia atual da Igreja.Por estas razões o Santo Padre tem a intenção de estender a toda a Igreja latina a possibilidade de celebrar a Santa Missa e os Sacramentos segundo os livros litúrgicos promulgados pelo Beato João XXIII em 1962. Por esta liturgia, que nunca foi abolida, e que , como dissemos, é considerada um tesouro, existe hoje um novo e renovado interesse e, também por esta razão o Santo Padre pensa que chegou o tempo de facilitar, como o quis a primeira Comissão Cardinalícia em 1986, o acesso a esta liturgia fazendo dela uma forma extraordinária do único rito Romano.

Cardeal Castrillón: Dijo a respecto del Rito Gregoriano o Forma Extraordinaria del Rito Romano que ...


Card. Darío Castrillón a RCN: "El Santo Padre no me ha pedido el cargo"

Así lo expresó el cardenal colombiano, presidente de la Comisión Pontificia "Ecclesia Dei", en diálogo desde la Santa Sede, al referirse a algunas versiones según las cuales el Sumo Pontífice le habría pedido su renuncia.

"Es la primera noticia. Que yo sepa, por lo menos el papa Benedicto XVI no me ha destituido... Seguramente, puede ser que no haya llegado la carta, pero en lo absoluto el Santo Padre no me ha pedido el cargo", precisó.

Monseñor Castrillón reiteró que "hasta ahora ésa es la noticia que me están dando desde Colombia..." Pero "todo es posible", anotó.

El prelado de la Iglesia Católica señaló que, "al contrario, estamos haciendo un trabajo difícil. Hay un problema que no tenía que ver con el trabajo nuestro, como es el hecho de que una persona cuando todavía no estaba con nosotros, hubiera hecho unas declaraciones como las que formuló monseñor (Richard) Williamnson en Canadá en 1989", subrayó.


Dijo a respecto del Rito Gregoriano o Forma Extraordinaria del Rito Romano que "éste es un proceso distinto, que tiene que ver con una de las sensibilidades mayores del Papa que es promover la liturgia gregoriana, como una liturgia de gran contenido teológico, espiritual e inclusive artístico, y él quiere conservarlo para la Iglesia. En eso estamos trabajando", sostuvo.

Y acrescentó volviendo a hablar de los lefebvristas, de su relación con Ecclesia Dei y la Congregación para la Doctrina de la Fe: “en ellos hay gente muy difícil. Hoy no más, leía yo una carta de algunos que son prácticamente sedevacantistas, o sea que creen que el Papa no es legítimo. Hay dentro de esa galaxia algunos pequeños grupúsculos que son exagerados”.

Escuche el diálogo con monseñor Castrillón

Fuente: RCN

Cardeal Dario Castrillon  FEZ 83 anos:desejamos-lhe as maiores graças do Céu e ainda esperamos muito do seu amor à Missa Tridentina



Foto: AP
El Cardenal Dario Castrillon Hoyos fue uno de los primeros latinoamericanos designados por Juan Pablo II para trabajar en la Curia Romana.
Permanecía en el Vaticano desde hace más de 20 años, cuando el papa Juan Pablo II lo llevó a trabajar a su lado.

El sacerdote, nacido en Medellín el 4 de julio de 1929, fue uno de los primeros obispos latinoamericanos en llegar a la curia romana.
Aunque no ha recibido la notificación oficial de su culminación de labores por parte de Benedicto XVI, él ya sabe que su trabajo en la comisión que venía presidiendo, la Ecclesia Dei, se termina hoy.
Y aunque seguirá siendo cardenal, no podrá votar en el cónclave o, mejor, en la elección de un nuevo Papa.
Sin embargo, en diálogo telefónico con EL TIEMPO desde Roma, aclaró que esto no equivale a un retiro definitivo. Vivirá en Roma, aunque -dice-, tendrá más tiempo para venir a Colombia, escribirá un libro sobre el antiguo rito católico y dictará cursos. Y lo más importante, según él, volverá a las parroquias.
Y ahora, ¿a qué piensa dedicarse?
Voy a terminar un libro que empecé a preparar sobre el antiguo rito gregoriano y varias conferencias y seminarios sobre ese tema. Y volveré al trabajo en las parroquias, que es lo más gratificante.
¿Y dónde va a vivir?
Seguiré acá en el Vaticano. Sigo siendo cardenal, lo que pasa es que ya no tengo que 'marcar tarjeta'. Seguiré en Roma, pero tendré más tiempo para ir a Colombia.
¿Y cómo se siente?
Feliz de que el Señor me haya permitido llegar con buena salud a esta edad. Me siento feliz de los proyectos que saqué adelante. No pienso en el cuarto de hora pasado, pienso en el cuarto de hora que viene. Uno no se jubila cuando está comprometido con Cristo.
¿Y cuáles fueron esos proyectos?
En Ecclesia Dei me propuse tres cosas y las pude cumplir. Primero, que todos los sacerdotes del mundo pudieran celebrar la misa libremente, que se liberara el rito antiguo sin oponer lo nuevo y sin que fuera obligatorio. Segundo, hacer conocer la riqueza de ese rito, y tercero, levantar la excomunión de los obispos lefebvrianos y acercarlos de nuevo a la la Iglesia.
¿Cómo terminó el escándalo por este último tema?
Fue transitorio, pero hizo mucho daño. A ellos (los lefebvrianos) los excomulgaron porque fueron ordenados sin permiso, no por otra cosa. Cuando se levantó la excomunión aparecieron las declaraciones, equivocadas, de monseñor Williamson, quien negó el holocausto nazi. Pero una cosa no tuvo que ver con otra.
En ese momento se especuló que las relaciones con el Papa se fraccionaron...
¡Para nada! Mis relaciones con el Santo Padre han sido muy buenas siempre y siguen siendo así.
¿Qué le faltó hacer?
Ver que todo el mundo se convierta, que vaya a misa y se confiese; que todos los hogares sean bendecidos por Dios.
fonte:el tiempo